WHITE GALLERY
Via Felice Casati 26
Milano (Italy)
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Uno sputo o tutto un personalissimo universo, una biro può erogare a livelli plurimi le sue potenzialità. È l’oggetto che con maggior naturalezza s’incastra in una mano, così scorrevole che niente e nessuno può stopparla. La sua essenzialità ne ha fatto un mito, qualcosa di così bello e importante che c’è sempre, come il sole o il sesso.
La semplicità della penna biro la rende uno strumento altamente malleabile, indi un’arma inevitabilmente artistica. Versatile come una sgualdrina, potremmo quasi dire, declinazione rischiata ma elusa con la modifica del cognome del francese Marcel Bich in Bic (poiché l’h finale avrebbe potuto condurre alla pronuncia inglese di bitch: pericolo scampato).
La linea tracciata da The Biro Show assume talvolta le sembianze del tratto colorato e colorito (vedi Sandra Virlinzi con Sbalzi di passione), altre volte netto, pulito ma giocoso come quello di Hell’s Kitchen di Jeremyville, dove buffi personaggi dall’atteggiamento serioso svolgono faccende quotidiane immersi in un caos vivibile perché (o benché) ilare.
Presente come il nome non suggerirebbe, la coreana Kappao opera su cartoncini, prima servendosi di un segno spoglio e senza pretese, poi perforandoli con bianche teste animalesche. Minacciose? Burlesche? Di certo intimidatorie, e in ogni senso conduttrici di spessore per il lavoro.
James Mylne, invece, raffina la sua tecnica al punto da farla scomparire: l’effetto biro comunemente riconosciuto è sostituito da un chiaroscuro magistrale, che rasenta il realismo fotografico. Ricercatezza metropolitana, questa. Carica, sonora, urlante come la sua scimmia la penna di Santo Nicoletti, tanto che la carta quasi ne viene trapassata, come da colpi graffianti. Il bianco degli occhi e il nero della bocca si congiungono in un solo grido; il segno vibra, e così chi lo riceve.
Più sospese le utilitarie, nei toni del blu, di un certo Billie Jean, laddove un tratto incostante e variegato conferisce movimento alla rappresentazione di una folla di automobili, padrone di uno spazio continuamente contaminato. Un’overdose di auto tutte puntate nella stessa direzione. Un digitale che accoglie disegni sbavati, colorazioni approssimative e pastose, quello di Alexander Costello. Combinazione contraddittoria, come il suo cielo che fa da sostegno a scale a pioli, come lo squillo cromatico sul fondo bianco e nero.
Gli artisti sono molti: il blu dona vita anche ai teneri pinguini di Pao, che realizza una divertente immagine dal clima natalizio; un filosofeggiante Gianni Perillo si fa morbido e poetico, consentendo alla penna di esprimersi nelle sue due massime arti; poi Giuseppe Borrello, fra le cui mani una biro sembra diventare pennello per plastici ritratti.
Tra nomi più o meno freschi della scena contemporanea, ne spiccano alcuni che riconducono a figure note del passato recente, come Nizzo De Curtis (nipote di Antonio) o Caterina Crepax, che scolpisce la carta, o ancora Lisa Ponti (figlia di Gio), supportata dal fedele bastone, ricorda quanta innocenza si possa recuperare nel tornare bambini.
Il mondo è inondato da fiumi d’inchiostro, che può arrivare più a fondo di una lama. Il trucco è stare dalla parte del manico.
La linea tracciata da The Biro Show assume talvolta le sembianze del tratto colorato e colorito (vedi Sandra Virlinzi con Sbalzi di passione), altre volte netto, pulito ma giocoso come quello di Hell’s Kitchen di Jeremyville, dove buffi personaggi dall’atteggiamento serioso svolgono faccende quotidiane immersi in un caos vivibile perché (o benché) ilare.
Presente come il nome non suggerirebbe, la coreana Kappao opera su cartoncini, prima servendosi di un segno spoglio e senza pretese, poi perforandoli con bianche teste animalesche. Minacciose? Burlesche? Di certo intimidatorie, e in ogni senso conduttrici di spessore per il lavoro.
James Mylne, invece, raffina la sua tecnica al punto da farla scomparire: l’effetto biro comunemente riconosciuto è sostituito da un chiaroscuro magistrale, che rasenta il realismo fotografico. Ricercatezza metropolitana, questa. Carica, sonora, urlante come la sua scimmia la penna di Santo Nicoletti, tanto che la carta quasi ne viene trapassata, come da colpi graffianti. Il bianco degli occhi e il nero della bocca si congiungono in un solo grido; il segno vibra, e così chi lo riceve.
Più sospese le utilitarie, nei toni del blu, di un certo Billie Jean, laddove un tratto incostante e variegato conferisce movimento alla rappresentazione di una folla di automobili, padrone di uno spazio continuamente contaminato. Un’overdose di auto tutte puntate nella stessa direzione. Un digitale che accoglie disegni sbavati, colorazioni approssimative e pastose, quello di Alexander Costello. Combinazione contraddittoria, come il suo cielo che fa da sostegno a scale a pioli, come lo squillo cromatico sul fondo bianco e nero.
Gli artisti sono molti: il blu dona vita anche ai teneri pinguini di Pao, che realizza una divertente immagine dal clima natalizio; un filosofeggiante Gianni Perillo si fa morbido e poetico, consentendo alla penna di esprimersi nelle sue due massime arti; poi Giuseppe Borrello, fra le cui mani una biro sembra diventare pennello per plastici ritratti.
Tra nomi più o meno freschi della scena contemporanea, ne spiccano alcuni che riconducono a figure note del passato recente, come Nizzo De Curtis (nipote di Antonio) o Caterina Crepax, che scolpisce la carta, o ancora Lisa Ponti (figlia di Gio), supportata dal fedele bastone, ricorda quanta innocenza si possa recuperare nel tornare bambini.
Il mondo è inondato da fiumi d’inchiostro, che può arrivare più a fondo di una lama. Il trucco è stare dalla parte del manico.
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