Ho avuto il piacere di intervistare KayOne, writer storico milanese, che si è avvicinato al mondo dei graffiti dalla fine degli anni Ottanta, diventando successivamente uno dei più noti in Italia e all'estero.
Da diversi anni porta avanti anche una pratica indoor, legata molto di più ad un approccio gestuale su tela, che sarà il focus della sua prossima mostra: Fluxus.
Proprio di questo, e anche di altro, abbiamo parlato in questa intervista, dove KayOne mi ha dato alcune anticipazioni.
Buona lettura!
Giada: Fra una settimana inaugurerà la tua personale alla Mondo Arte Miniaci Art Gallery in via Brera. Com’è nata questa nuova collaborazione?
KayOne: Molte sono
le gallerie storiche, non prettamente legate al mondo del post graffitismo o
della Street Art, che si sono interessate ad artisti con questo tipo di
background. Io ho sempre preferito avvicinarmi al mondo dell’arte contemporanea
con mostre istituzionali e non in galleria, questa è la prima personale in uno
spazio privato. Iniziare, però, esponendo nella strada storicamente riconosciuta
come il luogo dell’arte milanese in galleria, Via Brera, mi onora. Mondo Arte
Miniaci Art Gallery è una storica ma giovane galleria, che sa esporre da Andy
Warhol, Rotella e Paladino ad artisti più giovani come il sottoscritto in
maniera disinvolta, dandomi in questo modo la possibilità di raggiungere un pubblico che
spesso non è habitué di gallerie dedicate unicamente al nostro mondo. Ho scelto
questa galleria per rappresentarmi a Milano, in centro, dove in molti potranno
vedere i miei lavori: non è forse questo il motivo per cui ancora molti writers
dipingono… far vedere il proprio nome, il proprio lavoro!
KayOne, The Kaos Theory, 2013 |
G: Fluxus è il titolo della mostra. Un
titolo importante, perché dal punto di vista storico si riferisce ad una
corrente artistica prevalentemente performativa che ha inaugurato la formula
degli happening. Come mai avete voluto creare una connessione storica con una
precedente corrente artistica?
K: Ho scelto
io il nome Fluxus, flusso. Sentivo
che quella parola in qualche modo rappresentava il mio modo di dipingere quadri
e quell’energia che io ho sempre trovato nei Graffiti. Ma non solo. Se pensiamo
alla corrente artistica e alle sue diverse caratteristiche, ricordiamo la sua
interdisciplinarietà, la voglia del singolo di portare avanti personali
sperimentazioni che contribuivano però attivamente al movimento, la voglia di
essere divertenti, curiosi, accessibili e per tutti. In questo io trovo un
grande parallelismo con il mondo “street”, ognuno con la propria storia, chi
più writer, chi più street artist, in un movimento ormai senza confini
estetici, ma con il comune sempre il contenitore: la strada. Io ritrovo quel
pensiero, quel flusso, quella forza. Certo, personalmente rimarrò sempre vicino
ad una cultura più underground del nostro mondo, ma come non aprire gli occhi e
vedere che quello che ho conosciuto nel 1988, ora è anche altro.
KayOne, Falling Skies, 2013 |
G: Mi hai
raccontato che questa mostra sarà un primo step di un progetto più grande, che
si terrà alla Reggia di Caserta. Vuoi darci qualche anticipazione?
K: Organizzare
delle mostre è sapere di andare incontro a tempi biblici, ma pian pian si cerca
di organizzare e, personalmente, forse anche per l’età, ormai non riesco a
pensare e portare fino in fondo troppi progetti all’anno. Questa mostra è una
sorta di preview per un'altra più grande, la più importante che farò
quest’anno in Italia e che si terrà alla Reggia di Caserta. Sarà una mostra
nella mostra, nel senso che i miei lavori saranno esposti insieme ad una delle
collezioni di arte contemporanea più importanti in Italia, quella del
famosissimo gallerista Lucio Amelio, Terrae Motus. L’idea di essere esposto con
mostri sacri come Andy Warhol, Robert Rauschenberg, Keith Harring, Julian
Schnabel, Enzo Cucchi, Mimmo Palladino, Michelangelo Pistoletto, Emilio Vedova,
Mario Schifano e tanti tanti altri mi mette paura. È impossibile essere alla
loro altezza, quindi mi concentrerò sul rapporto che questi lavori possano avere con il
mio percorso e in un certo senso la cultura che rappresento.
G: Alla
galleria presenterai una serie di tele, un po’ di documentazione storica ma
anche una nuova installazione. Come vedi l’evoluzione dei tuoi lavori partendo
da un marcato wildstyle in strada per passare ad una forma gestuale e astratta
su tela? In cosa consisterà l’installazione?
K: Per assurdo
ho deciso di essere maniacale con lo spray per strada e essere invece gestuale
e astratto su tela… forse avrebbe avuto più senso il contrario? Ho scelto così,
sentivo che quel modo di dipingere su tela rappresentava meglio il mondo dei
Graffiti, la strada, KayOne. Penso che sia naturale per una persona che ha
deciso di cibarsi di creatività non dedicarsi unicamente ad una espressione,
perché non farlo? I caposcuola newyorkesi lo avevano già fatto.
Sono dell’idea che l’unica cosa importante in fondo sia essere coerenti con se stessi e rappresentare il proprio percorso, con dignità, sapendo che quello a cui apparteniamo è più grande di noi. Sarò ripetitivo, ma se è “street”, che abbia quel sapore, troppo spesso personalmente vedo lavori con i quali faccio fatica a relazionarmi, che sia sufficiente il contenitore? Non a caso se parliamo di strada, la mia installazione sarà proprio questo, partire da dentro per arrivare fuori, ma non diciamo molto, anche perché molto, ancora una volta, sarà guidato dall’istinto e dall’improvvisazione.
Sono dell’idea che l’unica cosa importante in fondo sia essere coerenti con se stessi e rappresentare il proprio percorso, con dignità, sapendo che quello a cui apparteniamo è più grande di noi. Sarò ripetitivo, ma se è “street”, che abbia quel sapore, troppo spesso personalmente vedo lavori con i quali faccio fatica a relazionarmi, che sia sufficiente il contenitore? Non a caso se parliamo di strada, la mia installazione sarà proprio questo, partire da dentro per arrivare fuori, ma non diciamo molto, anche perché molto, ancora una volta, sarà guidato dall’istinto e dall’improvvisazione.
G: Non ho
voluto farti le solite domande storiche, perché molto è già stato detto e ho
preferito, invece, concentrarmi sulla mostra. Una però è fondamentale dato che
noi siamo un sito che si occupa di Writing e Street Art e che, da un certo
punto di vista, siamo l’evoluzione fisiologica delle fanzine. Vuoi raccontarci
l’avventura di Tribe Magazine?
K: Ragazzi non
avrei mai pensato che Tribe sarebbe
sopravvissuto alla storia, ma eccoci qui ancora a parlarne. È tutto molto
semplice, immagina un mondo senza internet, smart phone, mms e google… ecco il
mondo in cui è nato Tribe. Avevamo il
bisogno di condividere quelle poche informazioni che avevamo, all’estero fanzine
dedicate al Writing già esistevano, non esisteva altro, così ci siamo
svegliati! Ho parlato ai miei amici Airone e Alberto di Wag e alcuni giorni
dopo ero già impegnato nel tagliare foto e mettere trasferibili Letraset: la
grafica allora era questa!
Siamo usciti con alcuni numeri a fotocopie, poi il salto, siamo andati in stampa a colori, i primi in Italia. Finalmente uno strumento per connetterci, aver modo di far vedere e condividere, avevamo creato quel flusso. Ora siti come il vostro sono una fotografia perfetta della quotidianità, veloce e in continua evoluzione, fanzine e libri incontrano un altro momento più riflessivo e calmo… uno il giusto completamento dell’altro. Vi auguro tutta la fortuna che in qualche modo hanno avuto quelle fotocopie.
Siamo usciti con alcuni numeri a fotocopie, poi il salto, siamo andati in stampa a colori, i primi in Italia. Finalmente uno strumento per connetterci, aver modo di far vedere e condividere, avevamo creato quel flusso. Ora siti come il vostro sono una fotografia perfetta della quotidianità, veloce e in continua evoluzione, fanzine e libri incontrano un altro momento più riflessivo e calmo… uno il giusto completamento dell’altro. Vi auguro tutta la fortuna che in qualche modo hanno avuto quelle fotocopie.
Info: http://www.kayone.it/
FLUXUS - KAYONE
SOLO EXHIBITION
a cura di Martina Grendene
20 / 30 marzo 2014
Inaugurazione Giovedì 20 Marzo ore
18.30
Mondo Arte Gallery in via Brera, 3 a Milano
Intervista di Giada Pellicari
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