Quest’oggi vi propongo
l’intervista a uno dei più attivi e esperti autori di graffiti della città di
Pisa, Francesco Barbieri,
che con le sue opere ha animato in passato le “superfici più disparate e
disperate” di molte città europee e americane. La sua produzione pittorica
si è sviluppata di pari passo con la ricerca sul lettering, che lo ha reso
famoso in ambito internazionale. Protagonista di tutto il suo lavoro è il
ritratto degli spettacolari spaccati di vita vissuti in prima persona, che
caratterizzano “questo fantastico mondo di reietti”, così definito
dall’artista, restituito attraverso le innumerevoli emozioni scaturitegli
davanti ad essi. Emozioni tradotte, nella serie dei landscapes, grazie alla
sperimentazione del mezzo pittorico su supporti anche diversi da quelli urbani,
rubati alla quotidianità. Una serie a cui l’artista dedica la sua personale
milanese presso lo Studio D’Ars, dal
titolo The Beauty of Ugliness a cura
di Daniele Decia (a cui Giada
Pellicari ha già dedicato un articolo che potete trovare qui), e di cui ci
regala qualche anticipazione. Attraverso le riflessioni regalateci in questa
intervista ci addentreremo nel percorso di studio di questo interessante
artista pisano che, dall’esperienza di nuove strade di ricerca come la
sperimentazione del collage,
a quella della particolare pratica del libro d’artista, fino ad arrivare alla
rielaborazione scultorea, ha operato un’analisi del tema prescelto da punti di
vista del tutto diversi in favore della piena libertà espressiva, necessaria
per fondere elementi figurativi e segni grafici e trovare un linguaggio
proprio, dando una forma sempre diversa ed originale ai moti del proprio animo.
Alessandra: Questo 2013 ti ha portato belle e nuove
occasioni di conoscenza e diffusione del tuo lavoro, che ti hanno messo alla
prova con opere su grande superficie. Parlami della tua esperienza al Festival
Icone 5.9, che quest’anno è stato dedicato ai terremotati dell’Emilia.
Francesco: Ciao Alessandra.. credo che Icone sia al momento il festival più
significativo in Italia, grazie anche all’esperienza e professionalità di un
curatore come Pietro Rivasi.
Sono stato molto contento di essere inserito nella line up di quest’anno e di
aver potuto partecipare. Ormai Icone ha una sua storia, che continua a
evolversi: guardo con interesse al coinvolgimento di una galleria come la D406 nell’evento, con tutte le potenzialità
di questa sinergia. Riguardo alla mia esperienza personale.. che dire? E’
andato tutto benissimo! Era la prima volta che provavo a fare uno dei miei
landscape su grandi dimensioni, e il lavoro è venuto esattamente come lo
volevo… mi hanno anche assegnato un muro che era del formato perfetto al mio
scopo. Ho notato che a Modena c’è comunque un po’ di gente che segue queste
cose: ci hanno fatto sentire con calore che il nostro lavoro era apprezzato. E
infine non posso non salutare gli amici con i quali ho condiviso
quest’esperienza: Etnik e Bizarre Dee, c’è sempre un grande scambio con
loro, non solo a livello artistico ma anche, e soprattutto, a livello umano.
A Icone Festival |
A: Parlami della tua ultima personale Hinterland: visioni liquide urbane realizzata all’interno degli spazi
espositivi dello storico Palazzo Pretorio di Vicopisano. In cosa si differenzia
dalle altre precedenti personali? Che selezione di opere hai fatto stavolta e
perché?
F: Diciamo che è la mia prima mostra personale che
riguarda esclusivamente i quadri della serie Suburban Blues ovvero i
paesaggi urbani e ferroviari. Come ricorderai nelle precedenti mostre personali
avevo incluso anche dipinti astratti, legati a immagini spaziali e
psichedeliche, o altri esperimenti più legati ai graffiti con la tecnica
del collage su tela. In realtà ho incorporato nei paesaggi alcune
tecniche che avevo sviluppato con quei quadri . Hinterland è la mostra che
segna il passaggio a questa svolta e che anticipa la direzione nella quale
voglio andare. E’ stato anche molto interessante portare questo tipo di opere
in un contesto straniante come il borgo di Vicopisano e osservare le reazioni a
questo contrasto. Ringrazio l’associazione La Stellaria per avermi offerto
questa possibilità.
A: Ci sono dei quartieri che ti hanno
colpito e che ti colpiscono ancora oggi quando ci torni? Quelli che magari
ritrai più spesso.
F: Potrei parlarti di Secondigliano o di
Harlem o delle periferie di S.Pietroburgo, ma la verità è che non mi
interessa più la singola esperienza, quanto piuttosto l’intero bagaglio di cose
che ho vissuto. Prima, nella realizzazione di un quadro, ero molto legato a
un’immagine, a un determinato momento di quando ero andato in un luogo che mi
aveva colpito. Ho notato che legarmi così tanto alla singola immagine (quindi
alla singola esperienza) limitava in qualche modo la mia spontaneità nel dipingere.
Ho capito alla fine che tutte quelle situazioni, tutto quel frequentare un
certo tipo di luoghi per anni, ormai fa parte di me e che semplicemente mi
esprimo così, è diventato il mio linguaggio. Non ho più bisogno di ritrarre
quella singola stazione.. mi sono interessato all’architettura e allo sguardo
fotografico sulla città. Adesso posso anche mixare due o più paesaggi, prendere
alcuni elementi o inventarne altri, sto cercando di creare un mio linguaggio
fluido e in divenire per esprimere quello che ho dentro.
A: Quali sono le sensazioni ed emozioni che
ti suscita il vivere la periferia. Qual è il lato o i lati affascinanti delle
zone periferiche urbane?
F: Prima di tutto non è stata una scelta consapevole e
programmata, ma direi più una scelta obbligata. Quando ero un writer molto
attivo, come tutti i writers, frequentavo certe zone più di altre,
semplicemente perché lì c’erano gli spot migliori e più interessanti per
dipingere. Ho notato che in qualsiasi città fossi, alla fine in un modo o
nell’altro mi trovavo sempre in quel tipo di realtà.. e ho iniziato a ragionarci sopra. Ne parlavo un po’ di
tempo fa con un amico, anche lui un writer che ha viaggiato molto e mi diceva:
“anche se ormai non dipingo più tanto o non viaggio più con lo scopo di
dipingere, quando sono in una città che non conosco, dopo aver visto le tipiche
attrazioni turistiche, prendo sempre la metro o un treno suburbano e vado fino
al capolinea. Dopo scendo e mi faccio un giro li, dove un normale turista non
andrebbe mai. Altrimenti non capisco bene la città”.
Untitled –
Dittico 2013 Mostra Postumi collettiva a cura di Studio D’Ars alle Scuderie
del Castello Visconteo-Sforzesco Vigevano
|
A: Quali invece, se esistono, sono quelli
che magari ti mettono disagio?
F: Qualche momento di tensione, è inevitabile.
A: Le tue tele si caratterizzano per un uso
peculiare di colori psichedelici. C’è un legame tra queste sensazioni/emozioni
e la scelta della gamma cromatica?
F: Dici? Penso che ci sia un’ impronta psichedelica,
ma oggi ci sono artisti nel nostro movimento che spingono questo aspetto molto
più di me.. voglio dire marcatamente psichedelici. Ho un po’ di influenze che
fanno parte del mio bagaglio culturale (Griffin, Crumb, Joshua Light Show ecc…)
ma la realtà è che io spesso dipingo con i colori che ho. Non sto a programmare
troppo, semplicemente vedo cosa ho nelle mie riserve e li accoppio come piace a
me.. il risultato è vagamente psichedelico. Ho notato che se li programmo
troppo i colori alla fine vengono fuori accostamenti più banali di quello che
vorrei, mentre quando faccio con quello che ho sottomano al momento vengono
fuori accostamenti improbabili e indubbiamente più interessanti. E’ una cosa
che ho imparato con i graffiti: fare del tuo meglio con il poco che hai a
disposizione.
A: Quest’anno, come negli anni passati, hai
avuto anche la possibilità di cimentarti in nuove esperienze, che ti hanno
permesso di mostrare la tua capacità di rielaborazione e versatilità tecnica in
discipline di nicchia come il libro d’artista, per la seconda volta, e per la
prima volta anche nella realizzazione tridimensionale delle tue opere. Mi
vorresti parlare dell’approccio che ogni volta hai adottato per affrontare queste
sfide?
F: Si tratta di cose che ovviamente non avrei mai
fatto se di volta in volta non fossi stato spronato dall’occasione di una
mostra o da qualcuno che è riuscito a trasmettermi la curiosità necessaria
per uscire dalla mia piccola zona di comfort e cimentarmi con un tipo di lavoro
per me inusuale. Per quel che riguarda il libro d’artista è stato
sicuramente Delio Gennai a “iniziarmi” a questa disciplina (che
però non è assolutamente di nicchia secondo me!). L’approccio è abbastanza
semplice: materiali poveri a disposizione di tutti sui quali spesso applico i
miei contenuti grazie alle tecniche che conosco meglio: pittura, disegno e a
volte anche fotografia (non sono assolutamente un fotografo ma in qualche modo
la fotografia ha avuto sempre un certo ruolo nel mio processo
creativo). In generale penso che sia utile provare a fare cose che
normalmente non faresti, anche se naturalmente costa fatica e ti devi forzare,
diciamo che in qualche modo ti fa crescere.
City, libro d’artista 2013 |
A: Domani inaugura la tua
personale presso lo Studio D'Ars di Milano, dal titolo The Beauty of Ugliness a cura di Daniele Decia. Il titolo la dice
lunga... ci puoi dare qualche anticipazione?
F: The beauty of ugliness è una
mostra costituita al 90% dal mio lavoro degli ultimissimi mesi, più qualche
dipinto del 2013, dunque tutta roba molto recente.
Con il curatore Daniele Decia abbiamo
riflettuto parecchio sul rapporto con lo spazio urbano e sul mio modo di
interpretarlo. Insieme al video maker Valerio Torresi abbiamo cercato
di riportare questo tipo di pensiero nel video promo della mostra,
che sta avendo un ottimo riscontro.
Inoltre ho realizzato un'opera site-specific per la galleria, cercando di fondere alcuni aspetti tipici del wall painting con tecniche che solitamente uso su tela.
Inoltre ho realizzato un'opera site-specific per la galleria, cercando di fondere alcuni aspetti tipici del wall painting con tecniche che solitamente uso su tela.
Intervista di Alessandra Ioalè
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