Dal 16 settembre al 2 ottobre si terrà a Parigi la mostra Crossboarding. An Italian Paper History of Graffiti Writing and Street Art, organizzata da Library of Arts e Le Grand Jeu. Il progetto, ideato da Christian Omodeo, prevede una parte espositiva accompagnata da un catalogo che intende rendere evidente lo sviluppo della storia del Writing e della Street Art attraverso le pubblicazioni uscite sull'argomento in Italia o scritte da studiosi italiani, dimostrando come l'interesse per queste discipline sia sempre stato forte ed evidente nel nostro paese.
Io e Christian Omodeo ne abbiamo parlato in questa intervista.
Giada:
Crossboarding è sia una mostra che una pubblicazione. Com’è nata l’idea di
questo progetto? Cosa sarà visibile in mostra?
Christian Omodeo: Ho conosciuto i fondatori di LO/A lo scorso
febbraio, mentre lanciavano il loro semestre dedicato alla cultura Hip hop.
L’idea del libro (e poi della mostra), che Jeanne e Maxime di LO/A hanno
accolto con entusiasmo, è nata perché volevo scrivere una storia del graffiti
writing e della street art che tenesse anche conto dello sguardo che, negli
ultimi decenni, è stato portato su questi fenomeni. Il mio lato universitario
ha voglia di usare il termine “storiografia”, ma, in realtà, Crossboarding è soprattutto un libro
pensato per permettere a chiunque si interessi di graffiti, street art e/o
urban art (chiamateli come vi pare, tanto sappiamo tutti di cosa stiamo
parlando) di capire quali sono le pubblicazioni che contano su questi temi.
Il libro si compone di un testo introduttivo, di un
catalogo consacrato a 120 libri e di una bibliografia molto lunga in cui ho
riunito tutte le pubblicazioni che ho trovato in questi anni di ricerche. In
mostra abbiamo riunito i 120 libri che ho selezionato per Crossboarding, più alcune “chicche” che sono finalmente riuscito a
reperire solo dopo che il libro era già andato in stampa. Tenete conto che una
cosa è essere a conoscenza dell’esistenza di un libro e un’altra è riuscire
fisicamente ad averne tra le mani una copia.
G: Com’è avvenuta la selezione dei centoventi testi, quali criteri hai utilizzato e cosa ne è emerso?
C: Ho incrociato diversi criteri, primo fra tutti il
fatto che Crossboarding (edito in
inglese e francese) è destinato ad un pubblico internazionale, ma chi lo
sfoglierà o vedrà la mostra deve soprattutto tenere conto che, oltre
all’importanza del contenuto, ho preso in considerazione anche i libri in
quanto oggetti, valutandone la bellezza e la rarità (penso ai cataloghi editi
da Patricia Armocida, come quello di Blu con un testo di Fabiola Naldi di cui
esistono solo 75 copie...).
Andando in ordine cronologico, ho voluto dare spazio
per gli anni ’60 e ’70 ai libri sulle scritture murali, perché non puoi capire
fino in fondo il senso della pubblicazione di Graffiti a New York di Andrea Nelli o Street Writers di Gusmano Cesaretti se non valuti che videro la
luce in anni in cui ci fu un picco di pubblicazioni sui “graffiti” in tutto
l’Occidente e che, nella maggior parte dei casi, si tratta di testi in cui è forte
una lettura politica figlia del maggio ’68 di queste scritture murali.
Ho poi tenuto praticamente tutti i cataloghi delle
mostre dedicate da gallerie e musei italiani ai graffiti di New York, almeno
fino a Pittura Dura, visto che dopo
il ’99 progetti del genere non se ne sono più visti. Ho escluso dalla selezione
praticamente tutti i libri su Basquiat, Keith Haring e Ronnie Cutrone, cioè su
quell’Arte con la A maiuscola che parla il linguaggio dei graffiti, perché
volevo dare risalto all’anima vera di questo movimento. Ho tenuto il libro di
Paolo Buggiani sui disegni di Haring nella metro di New York o il libro su
Tuttomondo, il suo murales a Pisa, perché rappresentano dei libri su Haring che
ci vengono invidiati anche a livello internazionale.
Per gli anni 2000 e 2010 è stato più complicato,
perché c’è stato un aumento esponenziale delle pubblicazioni e degli artisti.
Salvo rarissime eccezioni – 108, Galo – non ho pubblicato libri d’artista, mentre
ho dato molto spazio alle monografie edite da case editrici italiane come
Damiani, Drago o Whole Train Press o realtà come Studiocromie o ZOOO. Salvo
eccezioni, non ho scartato i cataloghi di progetti istituzionali più o meni
importanti (da Roma a Lecco) e i libri che hanno fatto avanzare l’analisi
critica di questi fenomeni, come Frontier
the line of style.
Detto ciò, non vedo l’ora che il libro vada esaurito,
per poter preparare un’edizione riveduta e aggiornata con nuovi titoli e per
poter includere anche le fanzine alle quali, per il momento, è consacrato solo
un breve testo con annessa lista di tutti i titoli usciti in Italia a firma di
Bruno Messina.
G: Qual è il
ruolo dell’Italia nell’emancipazione e conseguente istituzionalizzazione di un
fenomeno nato per strada?
C: Importante, se non addirittura fondamentale. Non
per nulla, un editore francese ha deciso di pubblicare in inglese un libro
sulla passione italiana per questi temi. La prima mostra di graffiti in Europa
è stata organizzata da una galleria romana nel 1979, a pochi mesi di distanza
dalla scoperta di questo fenomeno da parte di Francesca Alinovi, una delle
critiche che ha maggiormente contribuito alla scoperta europea dei “graffiti”.
Rammellzee, A-One, Haring, Fab Freddy Five, Ronnie Cutrone, per non parlare di
Phase II o Daze sono stati a più riprese in Italia, legandosi a galleristi e
collezionisti prima e alle prime generazioni di writers italiani poi. Mostre
come American Graffiti al Chiostro
del Bramante sono uniche anche a livello internazionale. Politiche pubbliche di
inquadramento dei graffiti come quella sviluppata da Torino alla fine degli
anni ’90 sono all’avanguardia ancora oggi, a vent’anni di distanza.
Per quanto riguarda la Street Art, la situazione è
invece diversa. L’Italia ha ospitato progetti di rilievo internazionale come The Urban Edge che non sono stati però
accompagnati da cataloghi, mentre i progetti istituzionali più importanti come Street Art Sweet Art e Scala Mercalli si sono limitati a dare
una visione del panorama nazionale. Eppure, non mi sembra che in Italia
manchino curatori e istituzioni capaci di rispondere a mostre come Arts in the Street o Né dans la rue. Negli ultimi anni, si
assiste però ad un aumento di pubblicazioni critiche su questi temi che merita
di essere lodato, perché sono anche libri come Inopinatum, Frontier (mi
ripeto), Writing the City, On Writing.
Talking about Graffiti and Aerosol Art e Beautiful Losers che aiutano a analizzare e a valutare questi nuovi
fenomeni artistici.
Intervista di Giada Pellicari
Copertina: Phata XX Roma
Per guardare la videointervista di Giada Pellicari a Christian Omodeo realizzata a gennaio andate qui
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