lunedì 5 novembre 2012

La Brescia della nostra utopia




Loro, sornioni, infilano un parolone dopo l’altro, manco fossero dei critici parrucconi, e ti dicono che la loro opera si riferisce «alla dicotomia tra distopia e utopia», di più, «alla modernità alienante». Però.
Intanto, sul cavalcavia Kennedy, Jacopo, Nicola e Marcello hanno disegnato un’isola che volteggia nel cielo, sopra un mare adamantino. In quel minuscolo lembo tellurico volante (a loro piacerebbe chiamarlo così) sono incastonati la Loggia, il Castello, il Tempio Capitolino. Ecco, questa è l’utopia.

Ed è, pure, un graffito legale. Jacopo, Nicola e Marcello hanno appena vent’anni, studiano a Brera e Firenze, fanno street art e sono stati scelti dal Comune per dare un po’ di vita, con il loro estro, ai grigi suburbi di Brescia. Hanno iniziato ad agosto, con nemmeno 200 euro, giusto per comprare gli acrilici e tutto il resto, e ancora non si sa quando concluderanno il loro lavoro.

Manca la parte sinistra del cavalcavia. La distopia, per intenderci. «Sarà la città dei mostri di cemento e delle fabbriche, un immenso cratere ammantato da una caligine densa e, forse, popolato da creature abuliche, in netto contrasto con l’isola volante che allude al mondo che vorremmo». Non mancano citazioni marxiste, ovviamente. Al di là delle elucubrazioni filosofico-semantiche tanto in voga alle vernici, però, una cosa è sicura: i loro graffiti donano moltissimo al cavalcavia, gli danno quel tocco metropolitano che non guasta. E sono già apprezzati da orde di ragazzi che ogni giorno si fermano con gli occhi strabuzzati ad ammirare i tre writers all’opera.

ndAbarth: noto del sarcasmo o è un'impressione mia?