martedì 15 marzo 2011

Teo “Moneyless” Pirisi e le sue installazioni 3D silenziose

In un’epoca dove tutto deve essere comunicato ad alta voce, pena la totale assenza di ascolto, le installazioni di Teo Moneyless Pirisi scelgono di rimanere silenziose, senza perdere l’efficacia comunicativa.

La scelta di questo giovane artista visuale di Lucca è di approfondire le potenzialità espressive dello spazio: boschi, aree dismesse, spazi industriali nei quali prendono vita le sue installazioni.

Abbiamo deciso di farci due chiacchiere, per farci raccontare meglio la sua arte e la sua persona. A lui la parola.

Vorrei partire dal luogo in cui ti trovi ora: San Francisco. Cosa ti ha portato laggiù?

Senza dubbio tutto il lavoro fatto in questi anni, che in Italia stentano a capire, ma che oltreoceano apprezzano.

Come avviene normalmente la scelta dei luoghi?

Ho un legame molto forte con la natura e indubbiamente gli spot naturali sono quelli che prediligo: a lavoro terminato ho la possibilità di sedermi e riflettere.

Premeditazione, o cogli l’occasione?

Quando cerco uno spot, è un po’ un dare e avere, io trovo lui e lui trova me. Diciamo che colgo l’occasione.

Origine e “filosofia” del tuo nome: Moneyless.

Deriva dal fatto che mi sono posto il limite di creare con meno soldi possibili, il mio è sicuramente un atto contro lo spreco e lo sperpero della società moderna.

Le tue installazioni sono, di fatto, materie prime “reali” collocate in un ambiente altrettanto reale che una volta assemblate diventano qualcosa di irreale. Al di là del gioco di parole, qual è il tuo modus operandi, come trasformi l’idea in elemento concreto?

Inizio sempre dal disegno su carta; da quello si sviluppano i wall painting, le tele e, in ultimo, le installazioni. Il mio lavoro è un processo di continua sottrazione e semplicità.

Boschi, aree dismesse, fabbriche abbandonate. Ogni tuo lavoro viene sempre presentato in ambienti inconsueti, silenziosi, nei quali l’elemento umano non è presente. Cosa ti attira di questi spazi?

Il problema è che siamo invasi da immagini e input costanti che ci fanno perdere di vista quanto di bello abbiamo intorno; la mia scelta è dettata da questo motivo: il voler comunicare qualcosa in un modo diverso. In questi ambienti si viene a creare una magia che altrove non sarebbe possibile.

Ogni installazione, regala punti di vista e prospettive praticamente infinite: “imprigionarle” in uno scatto fotografico rappresenta potenzialmente un limite?

Lo scatto fotografico è un po’ come la chiusura del cerchio, mi riporta da dove sono partito, ovvero la seconda dimensione. Il mio lavorare con delle strutture a wireframes (la rappresentazione schematica di un oggetto tridimensionale mediante le sole linee dei contorni) consente di cambiare percezione anche rimanendo nel ambito del 2D.

Immortalare un’ installazione in uno scatto serve solo ad aumentare la comprensione del mio punto di vista iniziale. Ovviamente ognuno è libero di vedere ed interpretare con un approccio astratto ciò che ha di fronte.

Se avessi carta bianca, dove ti piacerebbe esporre?

Sicuramente in posti naturali estremi o difficili da raggiungere.

Com’è il rapporto con le istituzioni?

Molto semplice: io ignoro loro e loro ignorano me!

Hai avuto noie durante la realizzazione di qualche opera?

Assolutamente no; il fatto di creare qualcosa di effimero e poco invasivo desta nelle persone una certa indifferenza. Non lo considerano un atto vandalico e quindi tutto fila liscio.

Cosa accade alle tue installazioni dopo lo scatto fotografico?

Sono abbandonate al loro destino come i luoghi in cui sono realizzate; le intemperie e il tempo penseranno a loro.

Da cosa trai ispirazione?

Dalla natura in primis e da tutti gli aspetti positivi delle persone che ho intorno.

Se non fossi uno street artist saresti…?

San Francesco.

Quale sarà la tua “next big thing”?

Non si può dire!

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