Il
graffitismo vandalico si alimenta di frizioni e conflitti. Quei
conflitti che le passate Amministrazioni hanno a volte cercato e voluto,
con risultati spesso discutibili, attuando pratiche di contrasto poco
efficaci e poco durevoli per il decoro di tutta la città. Se è vero che
Milano è sempre stata molto colpita da questo fenomeno, è altrettanto
vero che le azioni vandaliche – paradossalmente – si sono moltiplicate
proprio quando si è inasprita la repressione: la ‘sfida’ al mondo del
writing ha sempre rotto le ossa a tutte le amministrazioni.
Sorvegliare e punire, cancellare e ripristinare, sono tutti verbi con
un’accezione negativa, spesso i più usati quando si parla dei muri di
Milano. Muri che vengono facilmente associati al degrado, avvicinando
sempre più allo zero la tolleranza sociale di cittadini e amministratori
verso questo fenomeno. Ma punire e reprimere non basta. Dopo anni di
ricette inefficaci, la prospettiva deve cambiare, e non fermarsi lì,
alla rimbiancatura. Dobbiamo intraprendere strade nuove, inventare e
sperimentare, promuovendo interventi coordinati di riqualificazione
artistica e partecipata su tutto il territorio.
E allora, senza giustificare pratiche evidentemente illegali, perché
chi sbaglia deve essere sanzionato (con sanzioni pecuniarie e l’impiego
in lavori socialmente utili), o alzare bandiera bianca di fronte al
degrado urbano (è proprio il contrario) è tempo di fare un esercizio di
realismo. Basta guardare al recente passato, che ha molto da insegnare:
in quattro anni, l’Amministrazione Moratti ha speso 35 milioni per la
pulizia dei muri, con risultati evidenti sotto gli occhi di tutti: la
città ha muri sporchi come prima. La ripulitura ha avuto spesso vita
breve e muri messi a nuovo hanno attirato ancora nuovi e vecchi vandali.
Oggi sono 20mila i palazzi milanesi che portano tracce dei graffiti
vandalici.
È chiaro che ogni iniziativa nata dal basso e volta a migliorare il
luogo in cui si vive deve essere incoraggiata e sostenuta, ma è anche
vero che l’Amministrazione deve avere una visione d’insieme. La nostra
passa attraverso un deciso cambio di rotta rispetto al passato. Dobbiamo
sforzarci di vedere e immaginare la città nel suo complesso, per andare
oltre le azioni ‘anti’, per costruire percorsi a favore della
rigenerazione urbana: con un po’ di coraggio spostare la discussione e
l’attenzione su un piano diverso.
Basterebbe un centesimo degli investimenti passati per realizzare in
collaborazione con tutte le Zone di decentramento, un festival cittadino
di arte pubblica muraria che coinvolga tutta Milano (dai migliori
artisti che abbiamo in città alle nuove generazioni, stimolando
imprenditoria artistica e costruendo percorsi educativi con le scuole).
L’attenzione sulla città come museo a cielo aperto, coordinata con una
campagna di comunicazione contro il graffitismo vandalico e di
educazione alla differenza tra arte e vandalismo (spesso erroneamente
accomunate), può diventare lo strumento per valorizzare il nostro
patrimonio: dal centro ai ‘muri storici’ delle periferie. Costa meno ed è
più efficace e visibile il risultato.
Se un ‘Cleaning Day’ per ripulire poche decine di metri, può costare
10 mila euro, riqualificare con un dipinto un muro conviene di più,
anche economicamente. In via Lombroso, pochi giorni fa, le Commissioni
Cultura e Politiche Sociali del Consiglio di Zona 4, hanno promosso un
intervento di riqualificazione urbana attraverso l’arte muraria, in
collaborazione con Sogemi, coinvolgendo associazioni, scuole del
territorio, writers e artisti milanesi, affermati e non, con una spesa
molto contenuta: solo 1000 euro di contributi per i laboratori di
pittura per i bambini. Non è l’unico esempio di arte pubblica
partecipata nei territori: un km di muro esterno dell’Ippodromo è stato
da poco riqualificato, così i sottopassi di Bonola, l’intervento nella
piazza intitolata alle Donne della Resistenza, e tanti altri negli
ultimi mesi.
Abbiamo davanti una scelta: replicare le azioni fallimentari del
passato, oppure iniziare a costruire percorsi che lascino nel tempo
qualità e segni positivi. La scelta in Europa (a Bristol, Parigi,
Berlino, Amburgo) e in Italia (Torino e Bologna ad esempio), altre città
l’hanno già fatta, e ha funzionato. Ora tocca a noi.
Paola Bocci e Emanuele Lazzarini
fonte: Arcipelago Milano
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