mercoledì 11 dicembre 2013

INTERVISTA A SHINE ROYAL - prima parte - di Giada Pellicari

Ho avuto il piacere di intervistare Shine Royal, un writer delle crew Int55 e TDK, che vive a Milano e che ho conosciuto quest'estate all'Energy Graffiti Fest, dov'era stato invitato a partecipare.
Da quella volta abbiamo avuto in cantiere questa intervista insieme, che ora viene resa fruibile anche al pubblico di Street Art Attack. Come vedrete qui di seguito abbiamo affrontato sia il suo percorso storico che anche molte idee relative al Writing, al puppet e alla scrittura in un lungo dialogo che, per l'occasione, verrà pubblicato in due parti.
Buona lettura

Giada: Come e quando hai iniziato a dipingere?
Shine Royal: La prima volta che ho preso in mano una bomboletta è stata nell'estate tra la quinta elementare e la prima media. In quel periodo vedevo in giro le tag di Esa, che ai tempi firmava Cespo mc, i pezzi di Krana e di Savo, vale a dire i lavori di questa crew storica di Varese che si chiama SIC. E’ una delle crew che insieme ai “trenatori” di Milano ha iniziato il movimento di graffiti sulle ferrovie Nord, un aspetto che io ai quei tempi non sapevo e che ho conosciuto a posteriori.
Ricordo i giri in bicicletta di un bambino che non ha meta e la trova sentendo musica  uscire da un garage a pochi passi da casa, la sede degli OTR, dove sulla cassetta della posta c'era un logo potentissimo che citava Mixmen Connection.
Mi fermavo spesso là fuori, ascoltavo quei suoni che mi affascinavano e rapivano, così in maniera inconscia stavo conoscendo l'hip hop. Un intero mondo, a me sconosciuto, mi si proiettava davanti e fu così che iniziai la mia ricerca.
Ho conosciuto la Hall di Varese (retro della banca Cariplo in centro, ritrovo della scena Hip Hop), le  jam al Treno di Mezzanotte, i flyer in bianco e nero con i treni di CAN2, ho conosciuto AL.
Sono rimasto affascinato in particolare da un pezzo di Raptuz per gli Articolo31, un lavoro che avrei rivisto a distanza di anni in via Pontano.
In quell’estate  ho iniziato a prendere qualche bomboletta dal ferramenta, per imitare quello che vedevo in giro, così cercavo di fare le mie firme ed è venuta fuori la roba che mi piaceva, cioè Shine, che era tratto dal film Shining.




Ho così cominciato a conoscere che cos’era quel gesto sul muro, da che materiale provenisse, come si faceva a farlo, che cosa dovevi avere in mano per farlo e ho semplicemente provato, ma con risultati pessimi. Venendo da Varese e non avendo molti rapporti con gli altri writers in quegli anni, ho iniziato a fare delle piccole cose nelle fabbriche abbandonate e a disegnare un po’ sulla carta, l’ottanta per cento sulla carta e il venti per cento con le bombolette, ma a quei tempi non avevo una reale esigenza di dipingere in strada perché avevo paura del risultato estetico che portavo, il quale praticamente, secondo me, era nullo. Mi ricordo che ero veramente molto affascinato dalle tag e cercavo di capire come si potesse ricreare quel gesto lì, ad esempio come a non far colare la bomboletta e tutti quei meccanismi che sono parte di quel mondo, però non riuscivo a metterli in pratica.
La bomboletta che ho preso in mano era la classica del ferramenta, oppure c’erano già in giro le Montana Hardcore, che mi risultavano un po’ difficili da utilizzare come meccanica di movimento, perché avevano una valvola relativamente dura. Da una prima fase che è stata solo di approccio al mezzo negli anni delle medie, il vero inizio è il primo anno di università quando sono entrato in Interno55 e ho iniziato ad utilizzare lo spray nella sua piena gestualità.


Shine e Kunos, Pescara, 2009


G: Sei di Varese, ma ti sei spostato a Milano per studiare alla Naba, dove ti sei specializzato in grafica.
Come si è evoluto il tuo approccio al Writing da quando sei andato a Milano? Com’è avvenuta l’entrata in TDK?
SR: E’ stato un passaggio inconscio quanto graduale. Nasce tutto quando sono entrato in Interno55 che concretamente era il 55esimo interno di uno stabile dove mi trovavo con i miei compagni di università. Era un ambiente davvero stimolante perché disegnavano tutti in quella casa piccolissima, dove in un salotto di circa 10 metri quadrati ci si ritrovava anche in dieci persone a disegnare. Era molto bello perché c’era gente più grande di me e molto forte, come  Kunos, Mars (I fondatori ), Sbafe,Tare, Awer, Baka Bakashi, Fope, Cris la Chance e Alleg che è veramente un illustratore fortissimo, secondo me uno dei primi che ha portato un certo tipo di icona in strada a Milano insieme a Dumbo, Robot Inc e a Santi (all'estero c'erano già Flying Fortress, la Mano, Pez, Alexone etc.).
Era una commistione di diversi stili e personalità che si incontravano lì, perchè era una stanza piena di disegni attaccati al muro e di bozzetti, i quali secondo me sono la parte che ha più carica energetica, dato che sono l’idea inconscia.
Il puppet nasce dal fatto che avevo bisogno di realizzare qualcosa che mi rappresentasse in poco tempo, ma quando avevo iniziato a dipingere non sapevo che a Milano c’era già un altro Shine.
Shine significa splendere ed illuminare e io avevo preso quest’idea dalla lampadina accesa, uno dei ricordi più forti della mia infanzia. Mi piaceva molto spegnere la luce e lasciare la lampadina in modo da poter mettere a fuoco illuminando quello che desideravo ed è una cosa che ancora tutt’oggi mi aiuta a racchiudere la concentrazione insieme alla musica. Il Puppet è nato quindi per non dover più scrivere il mio nome ma per riuscire a rappresentarlo come una sorta di logo, che incarna la mia persona. Tra l’altro in quel periodo Awer faceva un robot e Kunos un polipo come i suoi dread,  quindi in maniera inconscia abbiamo cominciato a disegnare delle icone che in qualche modo ci rappresentavano.



L’entrata in TDK avviene nel 2009 quando sono andato al Gold Rush a Los Angeles dove ho conosciuto Raptuz, Gatto e i CBS, con cui abbiamo disegnato un treno insieme a Kunos e dove la sera abbiamo fatto una bella festa con relativa "iniziazione".
La questione dei graffiti è importante, per me vale tanto l’esperienza nella hall of fame quanto quella nell’underground, l’una non può prescindere dall’altra. Per quanto riguarda i muri legali bisogna rappresentare al massimo che si può e, infatti, su quelli io cerco sempre per quanto posso di rinnovarmi e portare qualcosa di nuovo per me stesso.
La Naba mi ha influenzato inconsciamente nelle estetiche, ma in quegli anni  non avevo la giusta testa per studiare in università, ero più concentrato nel mio fare e credo che più che darmi, mi abbia tolto molte ore di sonno, perché la notte andavo  a dipingere, il giorno dopo dovevo andare a lezione e il pomeriggio a lavorare.
In realtà ho tenuto nascosto ai docenti quello che facevo, chi sapeva era solo quello di calligrafia, perché nei miei progetti mischiavo lettering e calligrafia. Lì inoltre si facevano delle lezioni più specifiche legate al marketing, alla comunicazione visiva e al layout.  L’hanno saputo successivamente nel momento in cui, ormai laureato, ho tenuto un ciclo di conferenze dal titolo Writers. Lo spray nel ventunesimo secolo.


Shine Royal e Gatto, 2009

G: Parliamo ora dell’idea del puppet, che nel tuo modo di dipingere vede moltissime confluenze tra il mondo dei graffiti originario e il graphic design attuale. Come vedi l’interazione tra questi due mondi inizialmente distanti e ora invece sempre più confluenti? Come mantenere la genuinità del fenomeno dei graffiti e non trasformarlo in brand?
SR: Secondo me è un passaggio che non è avvenuto per tutti, non avverrà e non è necessario che avvenga. L’interazione è nata semplicemente perché le arti analogiche sono diventate arti digitali. Ovvero non si studiano più tipografia, serigrafia, calligrafia, una cosa sbagliata secondo me, ma si parte direttamente dal computer. Attualmente capita spesso che molte persone che non sanno cosa studiare vadano a fare il grafico, e penso che per un motivo anche di moda si siano approcciate ai graffiti e abbiano mischiato i due aspetti.
Una cosa che ho provato per la mia esperienza è che tutti i miei ex studenti che erano writers avevano qualcosa in più, perché loro probabilmente erano abituati a concepire la lettera, a sceglierla, a colorarla, e a distanziare una lettera dall’altra, che in tipografia sarebbe la crenatura. Quando ad esempio vai in un negozio di spray hai una gamma cromatica di colori già pronti che è impressionante, ma il fatto di doverne scegliere alcuni quando li devi comprare ti pone un limite, perché non puoi prenderti quattromila colori come fai davanti ad uno schermo. Questo approccio che è molto analogico fa in modo che questa esperienza possa essere ripresa nella grafica: è questo secondo me l’aspetto più interessante di tutto, oltre agli stili grafici, cioè come un writer che è abituato a selezionare i colori, successivamente quando lavora sullo schermo possa scegliere delle soluzioni ottimali semplicemente perché le ha già sperimentate.
Per quanto riguarda la genuinità essa va di pari passo con la persona, ognuno fa quello che vuole, c’è gente che spinge e chi no, come ci sono alcuni che non hanno intenzione di commercializzare.
Finora io ho commercializzato pochissimo e mi sto ponendo il problema se devo farlo o meno. Se, perché e che cosa vendere di me. 



La seconda parte dell'intervista uscirà Lunedì prossimo!

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