Ho avuto il piacere di intervistare Shine Royal, un writer delle crew Int55 e TDK, che vive a Milano e che ho conosciuto quest'estate all'Energy Graffiti Fest, dov'era stato invitato a partecipare.
Da quella volta abbiamo avuto in cantiere questa intervista insieme, che ora viene resa fruibile anche al pubblico di Street Art Attack. Come vedrete qui di seguito abbiamo affrontato sia il suo percorso storico che anche molte idee relative al Writing, al puppet e alla scrittura in un lungo dialogo che, per l'occasione, verrà pubblicato in due parti.
Buona lettura
Giada: Come e
quando hai iniziato a dipingere?
Shine Royal: La prima volta che ho preso in mano una bomboletta è stata nell'estate tra
la quinta elementare e la prima media. In quel periodo vedevo in giro le tag di
Esa, che ai tempi firmava Cespo mc, i pezzi di Krana e di Savo, vale a dire i
lavori di questa crew storica di Varese che si chiama SIC. E’ una delle crew
che insieme ai “trenatori” di Milano ha iniziato il movimento di graffiti sulle
ferrovie Nord, un aspetto che io ai quei tempi non sapevo e che ho conosciuto a
posteriori.
Ricordo i giri in bicicletta di un bambino che non ha
meta e la trova sentendo musica uscire
da un garage a pochi passi da casa, la sede degli OTR, dove sulla cassetta
della posta c'era un logo potentissimo che citava Mixmen Connection.
Mi fermavo spesso là fuori, ascoltavo quei suoni che mi
affascinavano e rapivano, così in maniera inconscia stavo conoscendo l'hip hop.
Un intero mondo, a me sconosciuto, mi si proiettava davanti e fu così che
iniziai la mia ricerca.
Ho conosciuto la Hall di Varese (retro della banca
Cariplo in centro, ritrovo della scena Hip Hop), le jam al Treno di Mezzanotte, i flyer in bianco
e nero con i treni di CAN2, ho conosciuto AL.
Sono rimasto affascinato in particolare da un pezzo di Raptuz
per gli Articolo31, un lavoro che avrei rivisto a distanza di anni in via
Pontano.
In quell’estate ho
iniziato a prendere qualche bomboletta dal ferramenta, per imitare quello che
vedevo in giro, così cercavo di fare le mie firme ed è venuta fuori la roba che
mi piaceva, cioè Shine, che era tratto dal film Shining.
Ho così cominciato a conoscere che cos’era quel gesto sul
muro, da che materiale provenisse, come si faceva a farlo, che cosa dovevi
avere in mano per farlo e ho semplicemente provato, ma con risultati pessimi.
Venendo da Varese e non avendo molti rapporti con gli altri writers in quegli
anni, ho iniziato a fare delle piccole cose nelle fabbriche abbandonate e a
disegnare un po’ sulla carta, l’ottanta per cento sulla carta e il venti per
cento con le bombolette, ma a quei tempi non avevo una reale esigenza di
dipingere in strada perché avevo paura del risultato estetico che portavo, il
quale praticamente, secondo me, era nullo. Mi ricordo che ero veramente molto
affascinato dalle tag e cercavo di capire come si potesse ricreare quel gesto
lì, ad esempio come a non far colare la bomboletta e tutti quei meccanismi che
sono parte di quel mondo, però non riuscivo a metterli in pratica.
La bomboletta che ho preso in mano era la classica del
ferramenta, oppure c’erano già in giro le Montana Hardcore, che mi risultavano
un po’ difficili da utilizzare come meccanica di movimento, perché avevano una
valvola relativamente dura. Da una prima fase che è stata solo di approccio al
mezzo negli anni delle medie, il vero inizio è il primo anno di università
quando sono entrato in Interno55 e ho iniziato ad utilizzare lo spray nella sua
piena gestualità.
Shine e Kunos, Pescara, 2009 |
G: Sei di
Varese, ma ti sei spostato a Milano per studiare alla Naba, dove ti sei
specializzato in grafica.
Come si è evoluto il tuo approccio al Writing da quando
sei andato a Milano? Com’è avvenuta l’entrata in TDK?
SR: E’
stato un passaggio inconscio quanto graduale. Nasce tutto quando sono entrato
in Interno55 che concretamente era il 55esimo interno di uno stabile dove mi
trovavo con i miei compagni di università. Era un ambiente davvero stimolante
perché disegnavano tutti in quella casa piccolissima, dove in un salotto di
circa 10 metri quadrati ci si ritrovava anche in dieci persone a disegnare. Era
molto bello perché c’era gente più grande di me e molto forte, come Kunos, Mars (I fondatori ), Sbafe,Tare, Awer,
Baka Bakashi, Fope, Cris la Chance e Alleg che è veramente un illustratore
fortissimo, secondo me uno dei primi che ha portato un certo tipo di icona in
strada a Milano insieme a Dumbo, Robot Inc e a Santi (all'estero c'erano già
Flying Fortress, la Mano, Pez, Alexone etc.).
Era una commistione di diversi stili e personalità che si
incontravano lì, perchè era una stanza piena di disegni attaccati al muro e di
bozzetti, i quali secondo me sono la parte che ha più carica energetica, dato
che sono l’idea inconscia.
Il puppet nasce dal fatto che avevo bisogno di realizzare
qualcosa che mi rappresentasse in poco tempo, ma quando avevo iniziato a
dipingere non sapevo che a Milano c’era già un altro Shine.
Shine significa splendere ed illuminare e io avevo preso
quest’idea dalla lampadina accesa, uno dei ricordi più forti della mia
infanzia. Mi piaceva molto spegnere la luce e lasciare la lampadina in modo da
poter mettere a fuoco illuminando quello che desideravo ed è una cosa che ancora
tutt’oggi mi aiuta a racchiudere la concentrazione insieme alla musica. Il
Puppet è nato quindi per non dover più scrivere il mio nome ma per riuscire a
rappresentarlo come una sorta di logo, che incarna la mia persona. Tra l’altro
in quel periodo Awer faceva un robot e Kunos un polipo come i suoi dread, quindi in maniera inconscia abbiamo
cominciato a disegnare delle icone che in qualche modo ci rappresentavano.
L’entrata in TDK avviene nel 2009 quando sono andato al
Gold Rush a Los Angeles dove ho conosciuto Raptuz, Gatto e i CBS, con cui
abbiamo disegnato un treno insieme a Kunos e dove la sera abbiamo fatto una
bella festa con relativa "iniziazione".
La questione dei graffiti è importante, per me vale tanto
l’esperienza nella hall of fame quanto quella nell’underground, l’una non può
prescindere dall’altra. Per quanto riguarda i muri legali bisogna rappresentare
al massimo che si può e, infatti, su quelli io cerco sempre per quanto posso di
rinnovarmi e portare qualcosa di nuovo per me stesso.
La Naba mi ha influenzato inconsciamente nelle estetiche,
ma in quegli anni non avevo la giusta
testa per studiare in università, ero più concentrato nel mio fare e credo che
più che darmi, mi abbia tolto molte ore di sonno, perché la notte andavo a dipingere, il giorno dopo dovevo andare a
lezione e il pomeriggio a lavorare.
In realtà ho tenuto nascosto ai docenti quello che facevo,
chi sapeva era solo quello di calligrafia, perché nei miei progetti mischiavo
lettering e calligrafia. Lì inoltre si facevano delle lezioni più specifiche
legate al marketing, alla comunicazione visiva e al layout. L’hanno saputo successivamente nel momento in
cui, ormai laureato, ho tenuto un ciclo di conferenze dal titolo Writers.
Lo spray nel ventunesimo secolo.
Shine Royal e Gatto, 2009 |
G:
Parliamo ora dell’idea del puppet, che nel tuo modo di dipingere vede
moltissime confluenze tra il mondo dei graffiti originario e il graphic design
attuale. Come vedi l’interazione tra questi due mondi inizialmente distanti e
ora invece sempre più confluenti? Come mantenere la genuinità del fenomeno dei
graffiti e non trasformarlo in brand?
SR:
Secondo me è un passaggio che non è avvenuto per tutti, non avverrà e non è
necessario che avvenga. L’interazione è nata semplicemente perché le arti
analogiche sono diventate arti digitali. Ovvero non si studiano più tipografia,
serigrafia, calligrafia, una cosa sbagliata secondo me, ma si parte direttamente
dal computer. Attualmente capita spesso che molte persone che non sanno cosa
studiare vadano a fare il grafico, e penso che per un motivo anche di moda si
siano approcciate ai graffiti e abbiano mischiato i due aspetti.
Una cosa che ho provato per la mia esperienza è che tutti
i miei ex studenti che erano writers avevano qualcosa in più, perché loro
probabilmente erano abituati a concepire la lettera, a sceglierla, a colorarla,
e a distanziare una lettera dall’altra, che in tipografia sarebbe la crenatura.
Quando ad esempio vai in un negozio di spray hai una gamma cromatica di colori
già pronti che è impressionante, ma il fatto di doverne scegliere alcuni quando
li devi comprare ti pone un limite, perché non puoi prenderti quattromila
colori come fai davanti ad uno schermo. Questo approccio che è molto analogico
fa in modo che questa esperienza possa essere ripresa nella grafica: è questo
secondo me l’aspetto più interessante di tutto, oltre agli stili grafici, cioè
come un writer che è abituato a selezionare i colori, successivamente quando
lavora sullo schermo possa scegliere delle soluzioni ottimali semplicemente
perché le ha già sperimentate.
Per quanto riguarda la genuinità essa va di pari passo
con la persona, ognuno fa quello che vuole, c’è gente che spinge e chi no, come
ci sono alcuni che non hanno intenzione di commercializzare.
Finora io ho commercializzato pochissimo e mi sto ponendo
il problema se devo farlo o meno. Se, perché e che cosa vendere di me. La seconda parte dell'intervista uscirà Lunedì prossimo!
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