lunedì 26 gennaio 2015

L’uscita di articoli di (dis)informazione e opere che, invece, ne fanno un po’ di più – di Giada Pellicari



Questo articolo è stato scritto di getto, più o meno nella stessa situazione in cui mi sono ritrovata quando ho visto quelli che ho chiamato “i muri dipinti di bianco di 5Pointz”, ovvero arrabbiata, delusa, amareggiata e stanca. Come in quel caso sarò un po’ meno “accademica” del solito, sperando che in questo modo anche la lettura ne risulti più agevole.
Sempre più spesso escono testi su siti d’arte, riviste, o quotidiani, che vogliono trattare le discipline afferenti al mondo dell’arte urbana, un nome che utilizziamo per indicare in comodità il grande insieme contenente il Writing, la Street Art, il muralismo, il wall painting. E’ importante sottolineare, però, che tra tutti questi termini c’è una bella differenza, denotata da ambiti storici, geografici, tecnici e linguistici.
Giovedì scorso stavo tornando da Bologna, dove sono stata all’opening della SetUp ArtFair, e in treno ho letto un articolo uscito su una nota rivista d’arte contemporanea, che esiste sia a livello online che cartaceo, dove venivano trattati questi argomenti in maniera poco approfondita, demagogica e con la capacità di creare una grande confusione (se già non ce ne fosse abbastanza).
Non è in particolare contro l’autore, o la rivista stessa, che sto scrivendo questo testo, anzi, è pure una testata che seguo normalmente con interesse. Vorrei utilizzarlo, però, come campione di tutto un fenomeno di scrittura attualmente esistente inerente a questi temi, che viene prodotta in maniera semplicistica, probabilmente senza uno studio approfondito precedente e, magari, un po’ di curiosità, che non guasterebbe.

Tra le frasi che più mi hanno stupita riporto le seguenti, a cui risponderò brevemente di seguito:
1) “Dimenticatevi bandane, pantaloni da rapper e canottiere. Questi nuovi artisti non hanno nulla della spavalderia che contraddistingueva i graffitari degli anni ’90 che, armati di bombolette e passamontagna, dipingevano in fretta e furia prima di scappare al suono delle sirene della polizia”.
2) “Ma chi ne ha guadagnato di più nel passaggio dai graffiti ai quadri in cornice è stato Banksy, in termini di fama e soldi”.
3)   Il passo successivo di questa trasformazione è rappresentato da quei graffitari che sulla strada non ci sono mai stati […] Si tratta di una nuova categoria che ha cominciato a prendere piede negli ultimi anni, quella che si può definire dei “graffitari gentili”.
4) I graffiti dello spirito originale rimangono ancora vivi con artisti come l’italiano Blu, i brasiliani OsGemeos e anche per Banksy, che non a caso preferisce restare anonimo e rifiuta interviste, mantenendo quell’aurea di illegalità che all’inizio contraddistingueva i murales”.
5)  Il titolo reca la dicitura “Street Art”.

Chi un po’ mastica l’argomento può riuscire da solo a comprendere le diverse paradossalità esistenti in questi pochi periodi. Non vorrei mettermi a rispiegare la differenza dei termini e le diverse esperienze storiche, tecniche e geografiche che li contraddistinguono, anche perché basterebbe leggere un po’ di pagine di Wikipedia per poter un attimo orientarsi autonomamente. Mi limito alle seguenti:
1) Di che film si tratta? Graffitari, inoltre, è un termine che di per sé reca un’impronta negativa, quello più corretto è “writers”. Il Writing, comunque, è nato alla fine degli anni Sessanta.
2) E’ vero che Banksy ha avuto un passato da writer. Però risulta più noto per i suoi trascorsi da street artist, nei quali ha utilizzato molto la tecnica dello stencil.
3) “I graffitari gentili” non esistono. Il Writing nasce in strada in maniera libera, spontanea e illegale, partendo dal concetto di tag. Coloro che utilizzano lo spray ma non hanno questo trascorso sono semplicemente artisti che usano tale mezzo per creare delle raffigurazioni su muro.
4) Per quanto gli artisti citati siano ottimi e stimati anche dalla sottoscritta, non producono graffiti.  I murales, poi, non sono graffiti. (Dovrei aprire qui un altro ulteriore dibattito sul termine Writing e Graffiti)
5) Le foto sono in contraddizione con il titolo perché riguardano il Writing.

Ritengo che sia ora di trattare in maniera più approfondita tutti questi argomenti, di sviluppare un dibattito critico che, però, si ponga su basi solide e non su stereotipi che non fanno altro che creare disinformazione e mantengono il discorso a livelli basilari. Come ho preso ad esempio questo, potrei prendere quasi qualsiasi articolo uscito su una testata giornalistica. Il punto è: vogliamo andare avanti? Vogliamo rispondere a queste contraddizioni su carta?

Fra.Biancoshock, dalla serie Graffiti is a Religion

Esistono delle opere che, a mio avviso, possono aiutare a sviluppare il dibattito, si pongono in maniera critica verso questi stereotipi e, in poche parole, hanno la capacità di provocare il pensiero delle persone. Cosa, attualmente, molto buona.
In alcuni dei miei testi cartacei pubblicati mi sono spesso riferita a Lee Quinones per la sua capacità di utilizzare dei periodi di contorno che esplicitassero un pensiero, semplice e diretto. Sono frasi descrittive, lineari, che in poche righe hanno parlato del rapporto arte e illegalità, di treni, di linea, di ragazzini che iniziano a dipingere.
Attualmente ci sono diversi artisti che sono nati da un ambito afferente al Writing, ma che come produzione artistica hanno sviluppato un discorso altro, per certi versi tangente e autonomo. A questo proposito ci terrei a nominare Fra.Biancoshock e due suoi progetti come Vieni a vedere la mia collezione di Graffiti e il recentissimo Pulpits.

Fra.Biancoshock, Vieni a vedere la mia collezione di graffiti, 2014

Il primo è del 2014, tratta il tema del Writing in maniera pulita, poetica e, direi, anche molto rispettosa. Lavora sul concetto di studio della materia, di campionamento, di raccolta di reperti, di riappropriazione, di risemantizzazione di un concetto e di una sua successiva esposizione, denotando la configurazione del pezzo del graffito come feticcio e oggetto di culto. Credo che Vieni a vedere la mia collezione di Graffiti, anche come persona che si occupa dell’argomento, sia un ottimo esempio di studio e documentazione, oltre che tratta il Writing in maniera materica, e non solo pittorica, perché riporta il rapporto con il muro stesso e la sua superficie di esistenza, da cui l’artista se ne è riappropriato. Molte volte ho parlato del mio pensiero inerente ad una snaturalizzazione del Writing nel momento in cui accede ambiti indoor, soprattutto quando si tratta di pittura del pezzo su tela. Nel caso di Fra.Bianchoshock non è così, perché da parte sua non esiste una traslazione del piece, semmai il realizzare dei lavori, come questo, che parlano dell’argomento e ne evidenziano le profondità esistenti, le peculiarità e anche la stessa storicizzazione, dato che in quest’opera i frammenti presi provengono da lavori di writer molto noti e da tantissimi di quelli che hanno preso parte alla storia del Writing milanese.

Fra.Biancoshock, Vieni a vedere la mia collezione di graffiti, 2014

L’ultima opera, Pulpits, deriva da una performance che Fra.Biancoshock ha realizzato in solitaria all'interno di un luogo dismesso, dove, grazie all'utilizzo di uno stencil, ha crossato un pezzo di un writer scrivendoci sopra "toy". E' un'operazione che a primo avviso può sembrare molto irrispettosa verso il Writing, ma, in realtà, si pone come un ottimo esempio che mette in luce i meccanismi interni al mondo del Writing, nonché le confusioni con quello della Street Art, per come è recepito e trattato anche (e soprattutto) dai media di informazione.

Fra.Biancoshock, Pulpits, 2015

Con un atto di questo tipo, infatti, ci fa capire il meccanismo del crossing over, rende tangibile anche la questione del toy, dà, in un qualche modo, delle chiavi di lettura. Ci fa anche comprendere che molti dei media, nonché la maggior parte delle persone, non capiscono la differenza tra Writing e Street Art, aspetto invece evidenziato dall’utilizzo dello stencil per scrivere toy sopra a un pezzo realizzato a mano libera costituito dal lettering del nome del writer, in questo caso un throw up. Lo stencil, infatti, è propriamente una tecnica della Street Art, mentre il termine “toy” è una forma linguistica appartenente al mondo del Writing.
In alcune dichiarazioni che Fra.Biancoshock ha rilasciato al sito Brooklyn Street Art, ha ribadito che non voleva offendere nessuno, non voleva dare del toy al writer che aveva dipinto il pezzo, voleva semplicemente fare il suo lavoro. In maniera egocentrica, ovvio. Ma quale writer non lo è? 
Si può pensare, a prima vista, che non abbia rispettato il pezzo esistente e che stesse cercando semplicemente un altro po’ di fama nel mondo street e l’attenzione dei media. Non è così.

Fra.Biancoshock, Pulpits, 2015

Fra.Biancoshock è fondamentalmente un macchinista che muove le luci e le dinamiche di questo mondo in maniera intelligente in modo che se ne parli, un giocatore che prende in giro tutti i meccanismi di comunicazione, veloci, e anche gli articoli confusionari come quello di cui ho parlato all’inizio.
Lui lavora con la comunicazione in modo che la gente discuta dell’argomento, magari nasca un dibattito intelligente e si inizi a fare un po’ di chiarezza.
Credo che continuare a stimolare riflessioni e confronti sia fondamentale, se poi questi ultimi prendono forma da progetti artistici, ancora meglio.


Giada Pellicari


Tutte le immagini di Fra.Biancoshock sono (c) Fra.Biancoshock


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