Questo articolo è stato scritto di getto, più o meno nella stessa situazione in cui mi
sono ritrovata quando ho visto quelli che ho chiamato “i muri dipinti di
bianco di 5Pointz”, ovvero arrabbiata, delusa, amareggiata e stanca. Come in
quel caso sarò un po’ meno “accademica” del solito, sperando che in questo modo
anche la lettura ne risulti più agevole.
Sempre
più spesso escono testi su siti d’arte, riviste, o quotidiani, che vogliono
trattare le discipline afferenti al mondo dell’arte urbana, un nome che
utilizziamo per indicare in comodità il grande insieme contenente il Writing,
la Street Art, il muralismo, il wall painting. E’ importante sottolineare,
però, che tra tutti questi termini c’è una bella differenza, denotata da ambiti
storici, geografici, tecnici e linguistici.
Giovedì
scorso stavo tornando da Bologna, dove sono stata all’opening della SetUp ArtFair,
e in treno ho letto un articolo uscito su una nota rivista d’arte
contemporanea, che esiste sia a livello online che cartaceo, dove venivano
trattati questi argomenti in maniera poco approfondita, demagogica e con la
capacità di creare una grande confusione (se già non ce ne fosse abbastanza).
Non è in
particolare contro l’autore, o la rivista stessa, che sto
scrivendo questo testo, anzi, è pure una testata che seguo normalmente con
interesse. Vorrei utilizzarlo, però, come campione di tutto un fenomeno di scrittura attualmente
esistente inerente a questi temi, che viene prodotta in maniera semplicistica, probabilmente
senza uno studio approfondito precedente e, magari, un po’ di curiosità, che
non guasterebbe.
Tra le
frasi che più mi hanno stupita riporto le seguenti, a cui risponderò brevemente
di seguito:
1) “Dimenticatevi bandane, pantaloni da
rapper e canottiere. Questi nuovi artisti non hanno nulla della spavalderia che
contraddistingueva i graffitari degli anni ’90 che, armati di bombolette e
passamontagna, dipingevano in fretta e furia prima di scappare al suono delle
sirene della polizia”.
2) “Ma chi ne ha guadagnato di più nel
passaggio dai graffiti ai quadri in cornice è stato Banksy, in termini di fama
e soldi”.
3) Il passo successivo di questa
trasformazione è rappresentato da quei graffitari che sulla strada non ci sono
mai stati […] Si tratta di una nuova categoria che ha cominciato a prendere
piede negli ultimi anni, quella che si può definire dei “graffitari gentili”.
4) I graffiti dello spirito originale
rimangono ancora vivi con artisti come l’italiano Blu, i brasiliani OsGemeos e
anche per Banksy, che non a caso preferisce restare anonimo e rifiuta
interviste, mantenendo quell’aurea di illegalità che all’inizio
contraddistingueva i murales”.
5) Il titolo reca la dicitura “Street Art”.
Chi un
po’ mastica l’argomento può riuscire da solo a comprendere le diverse paradossalità
esistenti in questi pochi periodi. Non vorrei mettermi a rispiegare la
differenza dei termini e le diverse esperienze storiche, tecniche e geografiche
che li contraddistinguono, anche perché basterebbe leggere un po’ di pagine di Wikipedia per poter un attimo orientarsi autonomamente. Mi limito alle seguenti:
1) Di che film si tratta? Graffitari, inoltre, è un
termine che di per sé reca un’impronta negativa, quello più corretto è
“writers”. Il Writing, comunque, è nato alla fine degli anni Sessanta.
2) E’ vero che Banksy ha avuto un passato
da writer. Però risulta più noto per i suoi trascorsi da street artist, nei quali
ha utilizzato molto la tecnica dello stencil.
3) “I graffitari gentili” non esistono. Il
Writing nasce in strada in maniera libera, spontanea e illegale, partendo dal concetto di
tag. Coloro che utilizzano lo spray ma non hanno questo trascorso sono
semplicemente artisti che usano tale mezzo per creare delle raffigurazioni su
muro.
4) Per quanto gli artisti citati siano
ottimi e stimati anche dalla sottoscritta, non producono graffiti. I murales, poi, non sono graffiti.
(Dovrei aprire qui un altro ulteriore dibattito sul termine Writing e Graffiti)
5) Le foto sono in contraddizione con il
titolo perché riguardano il Writing.
Ritengo
che sia ora di trattare in maniera più approfondita tutti questi argomenti, di
sviluppare un dibattito critico che, però, si ponga su basi solide e non su
stereotipi che non fanno altro che creare disinformazione e mantengono il
discorso a livelli basilari. Come ho preso ad esempio questo, potrei prendere
quasi qualsiasi articolo uscito su una testata giornalistica. Il punto è:
vogliamo andare avanti? Vogliamo rispondere a queste contraddizioni su carta?
Fra.Biancoshock, dalla serie Graffiti is a Religion |
Esistono
delle opere che, a mio avviso, possono aiutare a sviluppare il dibattito, si
pongono in maniera critica verso questi stereotipi e, in poche parole, hanno la
capacità di provocare il pensiero delle persone. Cosa, attualmente, molto
buona.
In
alcuni dei miei testi cartacei pubblicati mi sono spesso riferita a Lee
Quinones per la sua capacità di utilizzare dei periodi di contorno che
esplicitassero un pensiero, semplice e diretto. Sono frasi descrittive,
lineari, che in poche righe hanno parlato del rapporto arte e illegalità, di treni,
di linea, di ragazzini che iniziano a dipingere.
Attualmente
ci sono diversi artisti che sono nati da un ambito afferente al Writing, ma che
come produzione artistica hanno sviluppato un discorso altro, per certi versi
tangente e autonomo. A questo proposito ci terrei a nominare Fra.Biancoshock e
due suoi progetti come Vieni a vedere la
mia collezione di Graffiti e il recentissimo Pulpits.
Il primo
è del 2014, tratta il tema del Writing in maniera pulita, poetica e, direi, anche
molto rispettosa. Lavora sul concetto di studio della materia, di
campionamento, di raccolta di reperti, di riappropriazione, di
risemantizzazione di un concetto e di una sua successiva esposizione, denotando la
configurazione del pezzo del graffito come feticcio e oggetto di culto. Credo che Vieni a vedere la mia collezione
di Graffiti, anche come persona che si occupa dell’argomento, sia un ottimo
esempio di studio e documentazione, oltre che tratta il Writing in maniera
materica, e non solo pittorica, perché riporta il rapporto con il muro stesso e
la sua superficie di esistenza, da cui l’artista se ne è riappropriato. Molte
volte ho parlato del mio pensiero inerente ad una snaturalizzazione del Writing
nel momento in cui accede ambiti indoor, soprattutto quando si tratta di pittura del pezzo su tela. Nel caso di Fra.Bianchoshock non è così, perché da parte sua non esiste una traslazione del
piece, semmai il realizzare dei lavori, come questo, che parlano dell’argomento
e ne evidenziano le profondità esistenti, le peculiarità e anche la stessa
storicizzazione, dato che in quest’opera i frammenti presi provengono da lavori di writer molto
noti e da tantissimi di quelli che hanno preso parte alla storia del Writing
milanese.
Fra.Biancoshock, Vieni a vedere la mia collezione di graffiti, 2014 |
L’ultima
opera, Pulpits, deriva da una performance che Fra.Biancoshock ha realizzato in solitaria all'interno di un luogo dismesso, dove, grazie all'utilizzo di uno stencil, ha crossato un pezzo di un writer scrivendoci sopra "toy". E' un'operazione che a primo avviso può sembrare molto irrispettosa verso il Writing, ma, in realtà, si pone come un ottimo esempio che mette in
luce i meccanismi interni al mondo del Writing, nonché le confusioni con quello
della Street Art, per come è recepito e trattato anche (e soprattutto) dai media di
informazione.
Fra.Biancoshock, Pulpits, 2015 |
Con un
atto di questo tipo, infatti, ci fa capire il meccanismo del crossing over,
rende tangibile anche la questione del toy, dà, in un qualche modo, delle
chiavi di lettura. Ci fa anche comprendere che molti dei media, nonché la maggior
parte delle persone, non capiscono la differenza tra Writing e Street Art,
aspetto invece evidenziato dall’utilizzo dello stencil per scrivere toy sopra a un pezzo realizzato a mano libera costituito dal lettering del nome del writer, in questo caso un throw up. Lo
stencil, infatti, è propriamente una tecnica della Street Art, mentre il
termine “toy” è una forma linguistica appartenente al mondo del Writing.
In
alcune dichiarazioni che Fra.Biancoshock ha rilasciato al sito Brooklyn Street Art, ha ribadito
che non voleva offendere nessuno, non voleva dare del toy al writer che aveva
dipinto il pezzo, voleva semplicemente fare il suo lavoro. In maniera
egocentrica, ovvio. Ma quale writer non lo è?
Si può pensare, a prima vista,
che non abbia rispettato il pezzo esistente e che stesse cercando semplicemente
un altro po’ di fama nel mondo street e l’attenzione dei media. Non è così.
Fra.Biancoshock, Pulpits, 2015 |
Fra.Biancoshock è fondamentalmente un macchinista che muove le luci e le dinamiche
di questo mondo in maniera intelligente in modo che se ne parli, un giocatore
che prende in giro tutti i meccanismi di comunicazione, veloci, e anche gli articoli confusionari come quello di cui ho parlato all’inizio.
Lui
lavora con la comunicazione in modo che la gente discuta dell’argomento, magari
nasca un dibattito intelligente e si inizi a fare un po’ di chiarezza.
Credo
che continuare a stimolare riflessioni e confronti sia fondamentale, se
poi questi ultimi prendono forma da progetti artistici, ancora meglio.
Giada Pellicari
Tutte le immagini di Fra.Biancoshock sono (c) Fra.Biancoshock
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