venerdì 7 ottobre 2011

Intervista a UNO


Di UNO parliamo spesso su questo blog, è uno di quegli artisti a cui mi sono affezionato e senza i quali probabilmente questo posto non sarebbe lo stesso. Di solito mi limito a divulgare l'opera, stavolta ho deciso di approfondire la faccenda e l'ho contattato per fargli qualche domandina veloce, per vedere il ragazzo che c'è dietro la tag.

Partiamo dall'inizio: come nasce Uno? Cosa ti ha spinto a iniziare a dipingere?
UNO è stato estrapolato tanti anni fa dal mio nome all'anagrafe. La nascita di UNO coincide con un periodo particolare della mia vita, quando ho cominciato ad interessarmi al Situazionismo e alla tecnica del detournement, che poi ha caratterizzato anche le mie scelte stilistiche.
Ho sempre dipinto nella mia vita. Quando ero bambino in Russia mio padre mi faceva colorare i disegni che faceva lui. Con il passare degli anni ho continuato: mi divertivo a fare ritratti e paesaggi in chiaroscuro, ma nulla che aveva a che fare con la street-art.

E cos'ha fatto scattare la molla di prendere in mano le bombole e scendere in strada? E' stata una naturale evoluzione di quello che già avevi in mente?
Non so di preciso cosa abbia fatto scattare la molla. Sicuramente hanno influito molti fattori. Era un periodo in cui mi guardavo molto intorno ed ero particolarmente attento a varie forme di comunicazione, soprattutto ai linguaggi urbani. La street-art mi ha sempre affascinato, anche quando non pensavo minimamente di praticarla in prima persona. Ho iniziato per gioco e per me continua ad esserlo. Non ho altro hobby, passatempo o passione a parte questo.

Perché secondo te si diventa street artist?
Per moda, divertimento, sfogo, diritto di esprimersi liberamente, per naturale evoluzione, magari un po' tutte queste cose o semplicemente perchè la street-art è una forma di comunicazione popolare, che tocca e riguarda tutti, volenti o nolenti.
Se pensi di aver qualcosa da dire o da far vedere, la street-art è un mezzo che permette grande diffusione.

Secondo te è possibile che il cittadino medio un giorno arrivi alla comprensione di qualcosa che va al di là del lettering?
La street-art è spesso confusa come forma di vandalismo fine a sè stesso, soprattutto in Italia. Spesso non è così. Spesso il discorso è più ampio e va oltre. Nonostante tutto, io credo stia affiorando un nuovo modo di vedere e vivere lo spazio urbano e con esso l’arte che lo attraversa. La proliferazione della street-art nell'ultimo decennio ne è un esempio lampante.
Sono ancora in molti a fare di tutta l'erba un fascio. Fare qualcosa per strada comporta in un certo senso imporla a tutti coloro che la vedranno. Alcuni la prenderanno bene, altri male. Non puoi pretendere che sia apprezzata indistintamente da tutti.

Lavori da solo o sei aperto a collaborazioni con altri writers?
Solitamente solo. Non disdegno assolutamente le collaborazioni ma sicuramente preferisco quelle “a posteriori”, non volute o premeditate.

Uno dei tuoi soggetti preferiti è il bambino della Kinder. Ha un particolare significato o l'hai scelto senza motivo?
Da molto tempo sono disilluso e particolarmente disincantato verso quello che la società odierna ci impone facendoci pensare che si tratti di una nostra scelta. Il volto di quel bambino è un'icona del nostro tempo, incarna molte sue contraddizioni e ha caratterizzato l'infanzia e l'adolescenza di varie generazioni. Anche se non amo veicolare particolari messaggi con la street-art, credo che quella faccia sorridente rappresenti una sorta di “maschera” della nostra società, una metafora del fatto che viviamo in un mondo spettacolarizzato dove l’immagine è tutto.

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