E’ da diverso tempo
che mi occupo di Writing e in particolar modo della sua relazione con lo spazio
urbano, ma raramente ho pubblicato testi inerenti al rapporto riscontrabile tra
graffitismo e aree dismesse, un aspetto che risulta fondamentale per
comprendere alcune nuove dinamiche di riappropriazione dello spazio che si
possono constatare come parte integrante della scena. Proprio per questo motivo
la Jam Pirata 3.0, un evento avvenuto alcuni giorni fa all’interno di un’ex
fabbrica a Baranzate, si pone come un progetto interessante sia per come è
stato realizzato sia per le intenzioni che lo sottendono, oltre che come un
esempio peculiare ai fini di questo discorso.
Per realizzare
questo articolo sono stata aiutata da Cosimo Griso Alfarano, street
photographer specializzato nel reportage di eventi e nella ritrattistica, di
cui questo articolo mostra alcune foto, che mi ha raccontato il progetto così:
“Il collettivo Pirata Riot è nato circa due anni fa come realtà legata alla
musica elettronica e con attitudine hip hop, il cui passato si è caratterizzato
per varie occupazioni in linea con i principi della cultura underground. Si
sono stabiliti da pochi mesi nell'ex Leon Beaux, una fabbrica d'armi, conosciuta
come ex polveriera, abbandonata da anni e diventata la nuova Proprietà Pirata. Più che un collettivo,
il Pirata Riot Club è un progetto autogestito di riqualificazione, attraverso
lo sviluppo di iniziative socio-culturali che riflettono il background dei suoi
componenti, staccandosi da una realtà sempre più piegata ai fini commerciali.
In questo ambito si è sviluppata la Jam Pirata 3.0, un evento che è partito
dall'idea di realizzare una giornata all'insegna dell'hip hop ma, data la
vicinanza con alcuni esponenti del Writing milanese, si è presto trasformato,
tramite il passaparola, in una grande jam con una line up di tutto rispetto.”
Penso che questa Jam
Pirata e il progetto del collettivo in sé possano essere un esempio peculiare
per discutere del rapporto che si può riscontrare tra graffitismo e
l’archeologia industriale, una definizione con la quale si denominano quelle
architetture costruite prevalentemente durante la rivoluzione industriale che,
successivamente al loro abbandono, sono divenute dei luoghi spesso lasciati al
decadimento temporale. Sono degli edifici che presentano, però, anche un forte
potenziale, poiché possono assumere
nuove caratteristiche nella loro funzionalità, tramite un processo allo stesso
tempo di riappropriazione e di riqualificazione. Accade, infatti, sempre più
spesso che queste aree il più delle volte vengano restaurate per scopi
culturali, divenendo in certi casi nuovi poli museali, centri di studi, oppure
luoghi di aggregazione sociale.
Nel mondo del
Writing la riappropriazione degli spazi urbani è uno degli elementi
caratterizzanti la disciplina stessa, ma quello che reputo relativamente nuovo
nell’utilizzare queste aree dismesse, deriva dalla loro capacità di cambiare la
fruizione dello stesso fenomeno. Se, di
fatto, prima il Writing veniva fruito in strada, sia da parte di chi lo
praticava che dal normale abitante della città, o attraverso le arterie dei
mezzi pubblici, quindi in maniera quotidiana e per certi versi semplice e
diretta, nel caso di queste aree dismesse il più delle volte la fruizione
avviene tramite l’utilizzo del mezzo fotografico e la sua traslazione nel mondo
dei social network. Sostanzialmente quindi si va a determinare una visione tramite
una temporalità in differita, soprattutto nel caso in cui i pezzi vengano
realizzati in maniera illegale, anche per la difficoltà fisica di
raggiungimento dei luoghi.
Vi sono molti esempi
interessanti da questo punto di vista, basti pensare a tutti i complessi
industriali lasciati abbandonati a Detroit, che è divenuta nell’ultimo decennio
una vera e propria mecca per i writer, oppure, guardando a più vicino, si può
riscontrare questo fenomeno nell’ area di Marghera in provincia di Venezia, nel
quale si possono vedere molti lavori di Peeta, di Capo e degli RGB (di cui ho
già scritto qui). Spesso queste aree vengono utilizzate anche per la
realizzazione di video, alcuni dei quali poi sono divenuti dei reali fenomeni
virali, come il caso esemplare di Limitless
di Sofles, che è stato realizzato in un luogo abbandonato per il quale è
stato chiesto il permesso, oppure il suo precedente intitolato Infinite, che invece è stato ripreso in
un effettivo ambito di illegalità. Anche a Berlino si possono riscontrare luoghi
di questo tipo, come l’EisFabrik, una fabbrica di ghiaccio in decadimento e
Teufelseberg, una stazione spia abbandonata, in cui i graffiti sono divenuti gli
aspetti fondamentali caratterizzanti i posti stessi, che si pongono effettivamente
come degli edifici di difficile accesso.
Jam Pirata si può
considerare, secondo queste coordinate analizzate in precedenza, come un caso
intermedio, poiché si tratta di un’effettiva occupazione di uno spazio dismesso
da parte di un collettivo, con l’intenzione però di aprirlo al pubblico, quindi
con la possibilità di fruire i pezzi direttamente dal vivo e non solamente
tramite dei mezzi di ripresa. Il posto infatti è stato occupato da tre mesi da
un gruppo di circa venti persone, con l’intenzione di creare un circolo
culturale che si possa proporre come uno skatepark, uno spazio aperto alla
musica e una grande galleria d’arte urbana, dati i 50.000 metri quadrati a
disposizione.
Solitamente i
progetti di graffitismo legale vengono proposti alle amministrazioni con
l’intento di proporre una forma di riqualificazione di luoghi in decadimento o
che hanno bisogno di una “rinfrescata”, in realtà non riflettendo sulle dinamiche
temporali e sulle problematiche di una partecipazione attiva, oltre che l’accettazione,
da parte della comunità. La riqualificazione infatti può porsi come una
conseguenza di una certa tipologia di un vissuto quotidiano, non tanto come l’importazione
di un fare artistico con l’utilizzo il più delle volte inconsapevole del
termine “arte pubblica”, termine che non può e non deve essere assimilato alle
esperienze del Writing, dato che si tratta di un linguaggio codificato.
Nel caso di Baranzate
credo che l’aspetto di riqualificazione possa nascere più che altro da una
dimensione quotidiana e sociale del fare Writing, oltre ad altre esperienze
culturali, che deve essere legato prevalentemente ad una dimensione
relazionale. E’ in realtà quest’ultimo l’aspetto fondamentale che può, di
fatto, determinare una riqualificazione di un luogo e dargli una connotazione
diversa.
Un caso fortunato di
riconversione di una zona che ha delle peculiarità per certi versi simili a
Baranzate è quello di Metelkova, ex complesso militare a Lubiana che ho
visitato l’anno scorso, nato successivamente ad un’occupazione da parte di
associazioni indipendenti di artisti e intellettuali per evitarne la
demolizione. E’ un luogo che si pone ora come una delle zone più vive della
città poiché sono nati lì un museo, delle associazioni culturali, alcuni centri
sociali, dove il Writing viene vissuto come esperienza quotidiana e parte
integrante del posto stesso.
Jam Pirata 3.0, che
ha visto la partecipazione di diversi writer, può allora essere considerata come
l’input iniziale di un percorso che, se portato avanti coerentemente, può dar
vita ad un nuovo centro di produzione culturale secondo delle dinamiche
completamente diverse rispetto a quelle nate da origini istituzionali.
Giada Pellicari
Per la realizzazione
di questo articolo: Grazie a tutti i ragazzi di Proprietà Pirata e a Cosimo
Griso Alfarano
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